mercoledì 19 agosto 2009

Un contributo sullo spettacolo "Il lavoro che resta"


Il lavoro che resta, un invito alla riflessione


Lo spettacolo Il lavoro che resta messo in scena dal Teatro del Krak (compagnia teatrale di Ortona), per alcuni ha avuto un effetto spiazzante; effetto dovuto alla scenografia ridotta ai minimi termini, all’assenza del palco e allo stile recitativo particolare. Assuefatti forse dalle rappresentazioni dialettali comiche di quest’estate molti sono apparsi perplessi di fronte ai due attori che battevano un lungo bastone sul selciato, lasciando precocemente la piazza. A volte bisognerebbe, però, soffermarsi su ciò che si guarda: qualche istante in più avrebbe permesso di cogliere l’immediatezza di questo spettacolo. Un’immediatezza che solo un pregiudizio su ciò che si sta osservando impedisce di percepire; uno sbaglio, perché le brevi storie andate in scena offrono spunti importanti per riflettere su un mondo, quello contadino, apparentemente lontano dal nostro, ma in realtà rappresentante il punto di partenza di quella che oggi è la nostra quotidianità fatta di ben altri mestieri ed attrezzi di lavoro. Infine, un’immediatezza raggiunta grazie al preciso lavoro di preparazione dello spettacolo, in dieci giorni di raccolta delle testimonianze delle varie generazioni che hanno assistito agli importanti cambiamenti delle nostre zone.

I due attori che battevano i bastoni a terra, sullo sfondo della voce narrante, stavano riportando in vita gli eventi tragici di quel lontano 21 marzo 1950, quando i contadini impegnati nello sciopero alla rovescia (il costruirsi da soli la strada che collega Lentella alla Trignina, strada promessa e deliberata ma restia alla realizzazione da parte delle varie autorità), di ritorno dalle loro fatiche inscenarono una protesta davanti la camera del lavoro. Ad attenderli, i carabinieri che non esitarono a far fuoco sulla folla inerme; a terra rimangono Nicolantonio Mattia e Cosimo Mangiocco (il bilancio è anche di nove feriti). Una strage impunita (come in tutti i casi del genere la pena massima a cui si può aspirare per chi ha sparato, corrisponde al trasferimento in un’altra sede) paradossalmente conosciuta in tutta Italia (la CGIL indisse una manifestazione nazionale) e sempre più spesso ignorata dai giovani lentellesi.

Dagli avvenimenti locali si passa alla storia recente di Cupello, quando si scoprirono i primi giacimenti di metano ed i contadini iniziarono a sognare una vita diversa da quella passata interamente sui campi. Un sogno che rischiò di spezzarsi quando il governo decise di convogliare il prezioso gas verso le centrali di Terni e che riprese vigore e si materializzò dopo imponenti manifestazioni di protesta. Fu così che sorsero le prime centrali e fabbriche nel vicino territorio di San Salvo, qui i contadini che sognavano una vita diversa conobbero un lavoro maggiormente retribuito, conobbero le ferie, prima parola sconosciuta ai più, ma soprattutto, si trasformarono in operai. Insieme al benessere impareranno ad essere uniti nelle rivendicazioni per un lavoro più a misura d’uomo, nascerà la solidarietà tra colleghi (tutti uniti contro i padroni) e l’adesione a scioperi e manifestazioni sarà sempre di massa.

Grazie agli stipendi che superano di gran lunga il guadagno da contadino, inizia il fenomeno della migrazione verso San Salvo per esser vicini alle fabbriche, alle scuole migliori per i propri figli, per avere un appartamento con tutti i comfort; spesso tali spostamenti incrementano anche il reddito familiare grazie all’assunzione negli uffici delle stesse fabbriche delle mogli diplomate, pioniere di quel terziario oggi dominatore assoluto del mondo del lavoro.

E oggi? Il Teatro del Krak, non ha tralasciato quello che è l’universo lavorativo, diretto discendente delle storie contadine ed operaie rappresentate in precedenza. La nuova fase ha un ideale inizio con l’avvento di macchine sempre più evolute in grado di sostituire gran parte della manodopera; ed è così che le aziende, in crisi, tagliano centinaia di posti, ma pretendendo produzioni maggiori, introducono la mobilità gettando nella disperazione intere famiglie. A questo corrisponde il progressivo e triste sfaldamento dell’unità operaia: i sindacati non fanno più presa, sempre più manifestazioni vanno deserte, i padroni con il ricatto della mobilità e dei licenziamenti hanno facilmente in pugno la situazione, quelli che restano a lavorare nelle fabbriche (impegnati a stabilire record di produzione) sono per lo più mansueti operai perfettamente inquadrati e messi in riga.

La storia, poi, ancora più recente la conosciamo tutti: precariato in ogni settore e sicurezza su lavoro paragonabile ad una roulette russa. E i grandi scioperi per rivendicare migliori condizioni? Purtroppo sempre più un lontano e sbiadito ricordo di giorni ormai andati.

pubblicato da Antonio Dolce il 28 agosto 2008
http://pensierosso.blogspot.com

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