Il lavoro di ieri, il lavoro di oggi
nell’ultimo spettacolo teatrale di Antonio G.Tucci
Va in scena lunedì 6 luglio alle ore 21, presso il Teatro Supercinema di Chieti con ingresso gratuito, lo spettacolo teatrale “Il lavoro che resta”, scritto e diretto da Antonio G. Tucci, in occasione dei 90 anni della Camera del Lavoro. Trattasi di una coproduzione tra Assessorato alla Cultura della Provincia di Chieti e i comuni di Lentella, Cupello e San Salvo, frutto di un incontro tra un gruppo di attori con gli anziani, gli operai, i precari del basso vastese. L'obiettivo è quello di mostrare come il lavoro, sia nelle modalità che nelle condizioni operative sia cambiato nel corso di mezzo secolo : da bracciantile ad operaio e adesso ad interinale.
Il basso vastese più di ogni altro, nella nostra regione, è stato protagonista dei mutamenti delle condizioni di lavoro e di conseguenza della società in Italia, non solo perché prescelto dalla nota casa automobilistica torinese come sede di uno dei più grandi stabilimenti del centro-sud, ma anche perché ricco di metano, materia prima che ha rivoluzionato il nostro fabbisogno energetico degli ultimi anni. Questi fattori di sviluppo hanno contribuito a far uscire la popolazione da uno stato di miseria e di diritti negati, emancipandola e rendendola consapevole della propria dignità. Il miracolo degli anni '60 ha l'aspetto di un angelo per i contadini di Lentella. Prima si erano susseguite emigrazioni, lotte, persino sfociate nel sangue, perché i braccianti del dopoguerra non avevano più la forza di sottomettersi.
Le loro storie raccontate da questo spettacolo, ci testimoniano un passato non tanto lontano da noi, ma tale da risultarci assurdo per le ingiuste e disumane condizioni in cui versava la maggior parte della popolazione, alla mercé di pochi padroni. Oggi, ci sembra impossibile che si “faticasse” dall'alba al tramonto senza la minima tutela sociale.
Colpevole della nostra ignoranza sui fatti recenti è senza dubbio la programmazione scolastica che, sebbene una recente revisione l'abbia estesa fino alla II guerra mondiale, traguardo peraltro ambizioso, tace completamente il periodo delle lotte civili degli anni '50 e '60, ingenerando, soprattutto nei giovani, l'idea che l'orario di lavoro di otto ore o il diritto di sciopero, siano ascritti tra i diritti inalienabili dell'uomo e non frutto di una conquista costata cara.
Da ciò deriva la gran confusione che regna al giorno d'oggi nel mondo del lavoro e che “Il lavoro che resta” ne offre un assaggio alla fine, quando il racconto viene affidato ai giovani precari, immersi in un'attualità incerta, che non li porta ad identificarsi in nessun ruolo particolare.
Nel complesso, però, l'opera non è pervasa da pessimismo e disperazione, anzi, l'autore cerca comunque di tracciare un percorso di fiducia nel futuro, attraverso una poetica della leggerezza tale da offrire allo spettatore “un'operetta magica e popolare”, accompagnata dai canti della più genuina tradizione popolare abruzzese.
Uno spettacolo corale e intimo nello stesso tempo, dunque, che soddisferà dallo spettatore più esigente, per la resa simbolica di alcune immagini, a quello più spensierato, per una serie di trovate fantastiche e ironiche, sempre sapientemente ritmate, di cui è costellato.
Uno spettacolo “impegnato” che invita tutti a riflettere sul presente del nostro Paese.
Paola Paolucci
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