Teatro del Krak Il lavoro che resta – Storie di lavoro nel sud dell’Abruzzo di Antonio G. Tucci con Alessandra Angelucci scene e costumi di Antonella Spelozzo regia, luci e suoni di Antonio G. Tucci
Si consiglia la prenotazione direttamente sul commento o telefonando al 338/3359096
Biglietto: euro 5,00
Partire dall’innocenza. Ritrovare il cuore nudo della parola, la necessità di una oralità rielaborata e rivissuta in termini di contemporaneità. C’è il bisogno di storie “vere”, storie private che ambiscono a diventare storie “esemplari”, in cui la gente possa identificarsi. Ecco quindi una drammaturgia che nasce da un incontro, quello avvenuto nell’estate del 2008 con gli anziani contadini, gli operai, i disoccupati, i giovani interinali, le donne lavoratrici di San Salvo, Cupello e Lentella, nel sud dell’Abruzzo. Conoscere com'era un tempo il lavoro e com'è oggi. Ascoltare le loro storie o storie di altri. Così da confrontare passato e presente per capire, per ricordare, per riflettere. E poi mettere in scena il lavoro, con i suoi fatti sanguinosi di tragedia di popolo e di singoli esseri umani, per creare un’intensa e ritmata narrazione di storie, simbolica e realistica al tempo stesso, evocativa e concreta, possibilmente vera. Il suono del passato riecheggia vivo nel dialetto remoto e quasi incomprensibile di Nicoletta Zappetti, volto scarno e antico di contadina che racconta un Abruzzo arcaico vissuto da figlia schiava di un padre padrone e poi moglie serva di un marito altrettanto padrone. Un’esistenza nella quale il lavoro è una condanna e le prepotenze quotidianamente accettate perché così “deve essere”. Tuttavia, al di là delle apparenze, a Nicoletta non viene mai meno la consapevolezza di una dignità personale in un mondo soffocato dalla crosta della miseria. La coscienza del lavoro come diritto riempie il racconto di Luigi Ruggeri, uno dei capi dell’occupazione dei braccianti di San Salvo del bosco di Motticce perché sia disboscato e le terre assegnate, così come fa parte della tragedia di Lentella nella quale i contadini Cosmo Mangiocco e Nicola Mattia morirono, durante uno sciopero alla rovescia, per avere pane e lavoro. Il lavoro gridato e voluto dai cittadini di Cupello perché il metano, appena scoperto nel loro territorio, invece di essere portato altrove, alimentasse nuove possibilità di occupazione che ponessero fine a povertà ed emigrazione. Finalmente, negli anni sessanta, ecco l’industrializzazione, ecco la grande fabbrica e i braccianti che diventano operai. E poi il decennio successivo fatto di luci ed ombre, di bianco e di nero ma con una socialità viva, meno contratta e ripiegata su se stessa, capace di lottare per i propri diritti. Un’operetta magica e popolare, uno spettacolo tenero e leggero. Infine il gran circo del mondo sognato, possibile, viene colpito a morte nel tempo presente... un altrove perenne, una diversità, una scissione... Il racconto dei giovani precari, dei cassa integrati appartiene ad una attualità grama, dura, di vita amara e incerta. Tra gli spezzoni e i frammenti di vita quotidiana, che sono le piccole storie di vita vissuta di una comunità che non ha avuto una grande storia, affiora la coscienza inquieta di oggi a restituire, comunque, lo sgomento di un percorso di speranza e di fiducia che sollecita a indignarsi, reagire, testimoniare.
di e con Serena Di Blasio, Caterina Di Fant, Valentina Rivelli
regia di Nicoletta Oscuro
Tre donne a confronto con l’iperadattamento. La regola presa alla lettera e rispettata a costo della vita. Il paradigma che stritola le personalità e annichilisce il potenziale, impedendo di far maturare l’individuo. Figlie di una cultura light, sedotte dal mito di una purezza incorporea che non esiste, massicciamente conformate a un modello uniformemente accettato, quotidianamente promosso, socialmente approvato. Il corpo, frustrato e umiliato da secoli, vive l’impossibilità di essere carne, di sentire l’emozione della materia. E aspira all’assenza. Desidera scomparire per far tacere l’angoscia. Ciò che resta sono corpi sempre più disabitati, sensi ammutoliti, esperienze soffocate. Uno spettacolo dal testo originale che non offre spunti morbosi né mette in scena il crudo rituale delle ammalate, ma vuole dar luce alle piccole violenze del quotidiano, al difficile rapporto con il proprio corpo, alle paure e le frustrazioni degli adolescenti. Una riflessione sulla società, sui suoi modelli e sulla famiglia come cellula di essa